Per le interviste Wonderyou ha avuto il piacere di dialogare con Davide Ferrario, cantante, musicista e produttore discografico italiano.
Hai iniziato la tua carriera a soli 15 anni, formando gli FSC, gruppo che accompagna Franco Battiato nelle registrazioni di due album e non solo. Com’è stato l’approccio ad una vita già da adulto?
Gli FSC nacquero effettivamente quando ero al liceo ma eravamo una band di ragazzini che, nel tempo, ha subito decine di modificazioni prima di arrivare alla formazione che effettivamente partecipò a dischi e tour di Franco Battiato. Questo accadeva nel 2004, avevo ventitré anni e, sebbene io mi identifichi tuttora in un bambino piccolo che scansa ogni responsabilità, anagraficamente ero già ben adulto.
E’ stato rocambolesco, piuttosto, essere catapultato da una realtà di provincia come il paesino veneto da cui provengo ad uno degli studi di registrazione più importanti d’Italia, con uno dei cantanti che hanno fatto la storia della musica di questo paese.
Ecco, questo effettivamente non me lo sarei mai aspettato.
Non era esattamente quello che cercavo, devo dire, ma è stato piuttosto sorprendente.
Ti senti di aver bruciato qualche tappa?
Ma non ritengo di aver raggiunto particolari traguardi. La strada davanti a me è ancora ben lunga. Si può parlare di tappe bruciate quando si è in una condizione di stabilità professionale. Sono in continuo mutamento. La mia vita artistica non funziona a tappe. Faccio molte cose ed ognuna di queste mi sembra ancora nella fase iniziale.
Come e da dove nasce il tuo momento creativo?
E’ difficile rispondere in modo univoco ma se dovessi trovare una costante probabilmente parlerei di immagini. Sono una persona estremamente visiva e la musica mi commuove solamente quando la associo ad una visione. Non è per forza di vita vissuta, può anche solo essere immaginata. Per questo ritengo il cinema la forma d’arte più completa. Mi sarebbe sempre piaciuto scrivere colonne sonore.
Con la mente dove vai a finire quando suoni musica elettronica?
Di solito negli ultimi anni c’entra molto la natura, le zone del Veneto in cui sono cresciuto, la bici, ma anche certi frammenti di vita vissuta. La mia musica ha molto a che fare con i luoghi, in effetti. I miei genitori hanno cambiato varie case da quando ero piccolo e a me mancano tutte. Ci sono periodi in cui le sogno tutte le notti. Mi affeziono a certi fotogrammi, mi mancano e cerco di raccontarli. Alcuni dei brani che ho prodotto sono talmente legati a questo che fatico ad immaginarli suonare da altre parti.
Lo strumento musicale con il quale hai riscontrato più difficoltà nell’apprendimento?
Non suono bene nessuno strumento. Certamente la chitarra è il mezzo più istintivo che mi permette di eseguire senza pensare, come lo sono alcuni particolari sintetizzatori che ormai sono entrati a far parte della mia vita quotidiana.
Mi sarebbe sempre piaciuto essere un bravo pianista ma non ci ho nemmeno mai provato, in effetti.
Di cosa parla la tua arte?
Credo di aver parzialmente già risposto a questo. Sono un nostalgico, un malinconico. E’ difficile togliere questi sentimenti dalla mia musica. Più o meno si va a finire sempre lì. Invidio chi sa raccontare bene la gioia. E’ una dote rara.
Raccontaci qualche aneddoto del tuo ultimo album.
Non sono bravo in aneddotica. Posso dire che è nato in un periodo di tempo piuttosto lungo. La lentezza fa parte del mio processo creativo, in assoluta controtendenza con l’idea della performance a cui tutti noi siamo costantemente spinti. Non penso che quell’attitudine faccia per me. Io ho bisogno di stare due settimane sul suono di una cassa, se necessario. Credo che le cose vadano approfondite e che per approfondirle ci voglia tempo, lavoro, artigianato. Faccio tutto da solo. Non uso suoni pre costruiti. Ogni cosa viene dai miei sintetizzatori, da ore di manopoline girate e ricerca sonora. Qualcuno potrà dire che non è un gran che e probabilmente avrebbe ragione, soprattutto se ci si paragona alla suddetta necessità di produttività estrema: non mi ritengo bravo. Questo, però, è il mio modo, il mio mondo, il mio regno. Quando ci entro esistono solo ed esclusivamente le mie regole.
Com’è stato partecipare a “The Voice of Italy “ in veste di vocal coach? Lo rifaresti oggi?
Ho accompagnato Max che credo di poter considerare una delle persone con cui vado professionalmente più d’accordo, oltre che, mi permetto di dire sperando di non essere contraddetto da lui, un amico. Tutto quello che ho fatto con lui, anche non rientrante strettamente nel panorama di cose che avrei immaginato di fare, mi ha sempre fatto stare bene, mi sono sempre divertito e c’è sempre stato uno scambio di idee proficuo e stimolante. Lavorare con lui è estremamente piacevole ed è bellissimo avere a che fare con una persona così intelligente e di ampie vedute. E’ chiaro che nella vita non ho mai guardato nemmeno un minuto di nessuna puntata di nessun talent show, se non quando ci sono andato per lavoro, ma certe esperienze valgono tanto per merito delle persone con cui le fai.
Hai collaborato con Battiato, Nannini, Max Pezzali e tanti altri artisti fenomenali. Quele esperienza ti ha arricchito di più?
Certamente Battiato e Max. Il resto, devo dire, non mi ha dato nulla. In alcuni casi, addirittura, mi ha sottratto molta energia vitale. Non sono e non sarò mai un turnista. Devo suonare solo musica che mi piace e avere a che fare solo con gente che umanamente stimo. Il resto non mi interessa più. Piuttosto mi trovo un impiego da magazziniere.
Cosa ne pensi della serie televisiva sugli 883?
Ti son tornati alla memoria ricordi particolari?
Non l’ho ancora vista. Non ho Sky.
Puoi parlarci del progetto “il grande coniglio”?
Di cosa si tratta?
Non è nulla. Avevo scritto, tantissimi anni fa, due o tre brani di musica elettronica che si sono persi nel tempo e avevo chiamato il progetto in questo modo. E’ straordinario che questo nome ti sia arrivato. Non riesco ad immaginare dove tu possa averlo reperito.
Che mi piacciano i conigli, comunque, non è una novità, cerco sempre di infilarli in qualsiasi cosa io faccia.
Quale emozione più profonda hai cercato di catturare nella tua colonna sonora per il video su Eleonora Duse, e come pensi che la musica possa amplificare la sua straordinaria eredità artistica?
Ho realizzato la musica prima di vedere il video, dunque ho dovuto fidarmi della mia immaginazione, senza sapere bene cosa stessi facendo.
Il poco senso pratico è peculiare in questo tipo di operazioni e io, che invece sono estremamente terreno, ho sempre bisogno che qualcuno mi dica che cosa devo fare.
Quindi un giorno mi sono seduto e ho iniziato.
Sapevo (e so) molto poco di Eleonora Duse, la figura è certamente interessante ma naturalmente mentirei se dicessi che ho avuto il tempo di studiarne le varie sfaccettature.
Ho scelto e cercato di raccontare un sentimento secondo me importante nel discorso: quello del ritorno, peraltro in questa fase della vita a me molto caro.
Il ritorno ad un luogo, ad una pace, dopo una serie di travagli che vanno dagli amori, alle difficoltà, ai disturbi della vita, a mio avviso è molto evidente ascoltando il finale con accordi maggiori e suoni morbidi. Si chiudono gli occhi, si rivede tutto ció che si è vissuto e forse ci si commuove anche un po’, accettando con serenità la fine di un periodo, di un’epoca.
I finali mi sono sempre piaciuti.
Cerco notizie ad Ovest Nord Ovest, sono logorroica e amante dell’informazione. Mi occupo di comunicazione, Social Media e speakeraggio radiofonico, mi piacciono le parole perché ognuna di esse racchiude un significato specifico. Nella vita ho sempre cercato di fare più cose insieme per poter imparare e migliorare, ritengo che c’è sempre tempo per trovare le proprie passioni basta perseguire la propria strada!I miei hobby sono la cinematografia, la fotografia e lo sport soprattutto il nuoto e la boxe, almeno per il momento! Il mio posto preferito è sicuramente il mare dove poter fare introspezione e staccare la mente.