Femminicidi e Industrial-MassMediatical Complex: il binomio della disgregazione.

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Come l’allineamento mediatico annienta la libertà di informare.

Una piaga infetta che si sta allargando a macchia d’olio nell’Italia di oggi, innegabilmente é il femminicidio. Quante volte tocca ascoltare l’ennesimo fatto di cronaca ai danni di qualcuno  fisicamente più debole. Dopo la pandemia da Covid, i casi di reati o delitti contro la donna sono aumentati vertiginosamente.

Non per ultimo, il recente fatto tristemente noto alle cronache della povera Giulia Cecchettin, uccisa probabilmente con premeditazione dal suo ex compagno, il quale non accettava l’idea di troncare definitivamente la loro relazione.

 

 

Tuttavia non siamo mai stati esenti da crimini di questo tipo. Dati alla mano, il fenomeno è aumentato di circa il quindici per cento negli ultimi cinque anni, anche e soprattutto nelle regioni più industrializzate, a dispetto di un principio tipicamente rurale celato fra campi, bestiame e cascinali in mattoni, dove chi comandava era il capofamiglia, piacesse o meno.

Senza sottrare la giusta importanza dal rendere consapevole l’opinione pubblica di tali efferatezze, è doveroso fare luce su un altro aspetto, altrettanto inquietante, che pare passi fra il rumore di fondo, ovvero il continuo bombardamento da parte di un non meglio identificato, ma percepibiissimo meccanismo, chiamato affettuosamente da chi scrive Industrial-MassMediatic Complex.

 

 

L’apparato formato da tutti i mezzi di informazione, oggi allineato su una ben determinata linea sociale, e dalla quale non accenna minimamente a discostarsi. Anzi, sembrerebbe che coloro i quali esprimano un’idea differente, vengano da questo agglomerato accerchiati, screditati, attaccati e tacciati di essere magari l’esatto opposto di ciò che sono, ma rei di aver espresso un’opinione forse più razionale dell’intero comparto mediatico.

Farebbe riflettere il soffermarsi e rendersi conto del metodo con cui tale complex, nelle varie epoche, ha elargito allo spettatore infinite dirette televisive e continui martellamenti riguardo i casi di cronaca più eclatanti.

A partire da Alfredino Rampi – il bimbo precipitato negli anni ’80 in un pozzo artesiano – per procedere al più recente caso di Yara Gambirasio, la ragazzina di dodici anni sparita e ritrovata cadavere nelle campagne della bergamasca. 

 

 

Alfredino, Yara, Giulia, e tante altre giovani vite oggetto del medesimo modus operandi mediatico: ossessivo, disturbante al limite del maniacale, invasivo e cinico.

Vero è che nella comunicazione, fare leva sulle emozioni è il metodo più efficace per suscitare quella morbosa curiosità capace di trasformare una tragica vicenda in una sorta di telenovela a puntate. “Modus operandi” non a caso è un termine utilizzato in criminologia per descrivere il metodo con cui l’assassino compie il suo delitto e non solo. Ma nel caso specifico il crimine rimane nel manipolare continuamente – e talvolta a sproposito – l’emotività delle masse.

Si rischia infatti di incorrere in una vera e propria violenza privata; e questo se sapientemente condizionato, potrebbe portare gli spettatori in una direzione specifica e spesso voluta di qualsiasi natura. Stranamente nessuno fa presente questa sorta di operazione., forse proprio perché il giornalismo e la libera informazione è tutt’altro che libera, ma allineata. 

Un vero e proprio plagio, reato peraltro abolito da tempo, ma molto crudele poiché porta effettivamente ad un reale controllo delle masse. 

A che pro influenzare l’opinione pubblica oggi utilizzando ossessivamente i femminicidi? Sensibilizzare certo, ma con la percezione netta di un che di manipolatorio. Utilizzando infatti i soliti clichè, oggi molto in voga, si creano delle parole d’ordine. Veri e propri trigs, continuamente inculcati dentro di noi come dei semi, tali da influenzare la nostra visione e le nostre scelte sociali una volta maturi.

 

 

Uno di questi trigs al quale in questo periodo veniamo continuamente sottoposti è la parola “Patriarcato.” Una tipologia di famiglia fino ad oggi portata avanti dal volere del padre, dove la figura maschile e paterna si è sempre occupata del sostentamento del nucleo, e proprio per questo sentendosi in diritto di guidare più o meno delicatamente le scelte di tutti i componenti senza ammettere discussione.

Certamente, un clichè troppo uniteralista, ma che tramite sottili equilibri etici e morali ha portato avanti parte della sociologia italiana dal dopoguerra fino ai giorni nostri.

 

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Questi equilibri oggi sono venuti meno forse dalla troppa emancipazione della donna, ovvero colei che secondo la cultura “patriarcale” avrebbe dovuto solo badare al nido e non pensare a null’altro. O forse dall’eccessiva protezione giuridica in caso di separazione a danno delle economie maschili (categoria presumibilmente dominante), accomunate durante gli anni di matrimonio. O forse ancora dalla fortissima spinta – a ragion veduta oserei dire – da parte delle istituzioni e dal loro Industrial-MassMediatic Complex per cercare di tutelarla nel mondo del lavoro, rendendola ulteriormente indipendente, ovvero in grado di rifiutarsi nel doversi appoggiare ad un uomo per avere una stabilità economica. Sacrosanti diritti che la donna oggi dovrebbe avere., ma portati all’eccesso.

Gli eccessi però portano agli eccessi. Questa esuberanza in rosa ha portato nelle menti più fragili un senso di vuoto, di smarrimento, di inutilità, sgretolando così uno dei pilastri in cui è radicata la figura maschile, provocando in lui un senso di insicurezza o di fallimento; e la conseguenza a soluzioni così drastiche è un altrettanto drastico terribile gesto. Ma da prevenire, non da portare in prima pagina una volta accaduto.

Secondo taluni, per risolvere il problema è continuare a sensibilizzarlo, portando ulteriormente all’eccesso il brainwashing, quando invece basterebbe agire concretamente: inasprire le pene ad esempio. Renderle esecutive per direttissima, e valutare degnamente e con responsabilità il concedere l’arma di difesa più comune di questi mostri: l’infermità mentale. 

 

 

Perché non intervenire su queste tematiche anziché mettere la testa sotto la sabbia da parte delle istituzioni? Perché non intervenire sul controllo dei social network e dei loro contenuti? Perché non intervenire culturalmente sulla filmografia, sulle canzoni, dove oggi il cattivo è visto come modello da imitare, ed il buono uno sfigato? Perchè pubblicizzare mediante i talk show ed i programmi spazzatura (i più visti in quanto leggeri ed a volte divertenti) la continua mercificazione della donna e della sua sessualità?

Non sarebbe più efficace tutto questo al posto di proporre “educazione affettiva” nelle scuole? Che poi in cosa consisterebbe di preciso l’educazione affettiva, se non un qualcosa di fumoso ed empirico?

Perché l’Industrial-MassMediatic Complex non porta altrettanto efficacemente il perché, nel caso della povera Giulia Cecchettin, gli organi di pubblica sicurezza non si sono mossi come da protocollo? Perché nonostante il padre della ragazza abbia denunciato ai carabinieri come non possibile l’allontanamento volontario, nel verbale si legge proprio il contrario? E perché sempre questi, nonostante abbia fatto presente la paura della pericolosità dell’ex fidanzato, è emerso nel verbale testualmente “non in pericolo di vita”? Infine, perché dopo la telefonata del testimone, il quale affermava di aver visto la ragazza essere colpita dopo che questa ha tentato di scappare, le ricerche sono scattate la mattina successiva?

Tutti quesiti inquietanti, di cui nessuno pare voglia occuparsi. Molto più facile sbraitare dappertutto il fatto che ci sia stata o meno la premeditazione da parte di Filippo Turetta, quando la certezza che naviga nell’abisso del rumore è un vero e proprio attacco alla famiglia tradizionale, per come l’abbiamo conosciuta finora. 

Infine da notarsi le parole del ministro della difesa Crosetto, il quale ha affermato che esiste una certa magistratura, la quale vuole far cadere il governo. Vere o fasulle siano tali affermazioni poco importa quanto ha detto, bisognerebbe volgere lo sguardo sul quando, ovvero nel bel mezzo del lavaggio del cervello all’interno del quale tutta Italia stava seguendo indirettamente la vicenda Cecchettin.

Sarebbe altrettanto nobile per onor di cronaca, cercare e chiedere a coloro il fatidico Perché. Perché hanno interesse nella disgregazione totale della famiglia tradizionale. Un quesito che resta oggi senza risposta, ma che sicuramente troveremo negli anni a venire.

Mauro Modena


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