Pontefici, artisti, intellettuali e teste coronate: gli “influencer” di allora hanno condotto le mode nei popoli attraverso i loro cappelli. L’identità delle generazioni raccontata sopra la loro testa.
Quello che oggi definiamo comunemente un “Cappello” in realtà ha origine millenarie.
Fin dall’antico Egitto i faraoni venivano incoronati con una sorta di tiara bianca, oppure da un berretto rosso per delinearne l’attitudine al comando, nonché la loro appartenenza alle sfere celesti del loro contesto sociale.
In Mesopotamia era costume indossare turbanti o berretti di pelliccia, come in Palestina un copricapo conico e bianco per i sacerdoti.
Sui cappelli si apre un universo talmente vasto che non basterebbero due stanze ricolme di libri per descriverne storia, significato ed utilizzi.
Da sempre coprirsi il capo non solo è una valida protezione contro le intemperie, o come nel caso iconico degli archeologi, dal caldo sahariano, ma è divenuto un fregio da indossare come simbolo di status. Non solo per evidenziare l’essere parte di qualcosa, ma anche da relegare in un contesto di stile che oltrepassa mode ed epoche.
Dal basco francese nel caso degli artisti, alla coppola siciliana dei mammasantissima di campagna. Dal copricapo texano in pelle a tesa larga portato da petrolieri e cow boys, al classico fedora degli anni ’50, indossato vistosamente dai gangster che poi divenne un trend di tutta la popolazione americana, fino ad essere importato nel nostro bel paese.
Di tutte le forme e di tutti i colori, soprattutto per tutte le evenienze, ha coronato notabili e personaggi di spicco: da Salvador Dalì alla misteriosa marchesa Casati-Stampa. Dalle dame ottocentesche il cui vezzo era di impreziosirlo di reti e fiori, alle più complicate teste dei maghi: chi del resto non rammenta in tv il mago Otelma ostentare mitre da faraone?
Utile per ripararsi gli occhi calando la tesa, e da sfoggiare come il perfezionamento di un outfit ai red carpet di tutto il mondo, i cappelli hanno spopolato anche in ambito militare: ogni divisa è completata generalmente da un basco, ed ogni alta uniforme da un copricapo in stile napoleonico sul quale svettano penne dai più disparati colori. Passando poi ai cappelli degli alpini con penna di corvo, di aquila o di oca bianca per gli ufficiali, a quelli del corpo Bersaglieri.
Un vezzo costantemente indossato addirittura della regina Elisabetta seconda, la quale tramite il colore era solita lanciare messaggi in un linguaggio che solo la più esperta diplomazia poteva comprendere.
E se si volesse approfondire l’argomento, proprio a Milano il 16, 17 e 18 febbraio si terrà per la prima volta a Palazzo Visconti l’evento mostra “The Queen’s hat,” organizzato dalla giornalista Gabriella Chiarappa, dove i cappelli faranno da cornice alle creazioni orafe della designer Simona Della Bella.
Un incontro per appassionati proprio a ridosso della Milano fashion week dove stile e bellezza faranno capolino nel contesto sfarzoso della splendida dimora.
Decisamente da non perdere.
Nato a Milano il 9 Agosto 1974, ha conseguito studi ed esperienze lavorative di progettazione meccanica. Agli inizi del 2000 quasi per gioco coltiva l’hobby della scrittura, divenendo inaspettatamente giornalista pubblicista. Ha collaborato con svariati quotidiani scrivendo di cronaca e inchiesta, nonché con magazines mensili dedicati alle auto storiche per via della sua passione per il collezionismo automobilistico di nicchia. Oggi lavora in una fondazione nel centro di Milano, ma non appena il tempo glielo consente, ne approfitta per condividere notizie ed opinioni. La sua citazione preferita, come un mantra, la ruba al celebre film “Scent of woman,” in cui Al Pacino, nei panni di un colonnello non vedente dell’esercito, risponde alla domanda del suo giovane badante sull’ammirazione che ha delle donne: “Le donne le amo sopra ogni cosa. Al secondo posto, ma con lunga distanza… c’è la Ferrari.” Carpe Diem.