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Intervista Patrizia Casarotti, Presidente AIL Taranto e provincia

G.: Presidente Casarotti, lei guida una realtà che si confronta ogni giorno con la sofferenza. Cos’è per lei il coraggio?

Patrizia Casarotti:
Il coraggio è trovare una soluzione, un aiuto concreto, per tutti quei pazienti che attraversano un periodo di grande difficoltà a causa di una malattia ematologica. È una realtà che conosco bene, avendola vissuta in prima persona. So cosa significa dover trasportare un paziente debilitato per ricevere terapie in ospedale, quando non esistono alternative domiciliari.

G.: L’esempio vissuto in prima persona ce lo può raccontare?

Casarotti:
Sì. L’8 giugno 2004, a mia figlia – che allora aveva solo 16 anni – è stata diagnosticata una leucemia linfoproliferativa acuta. È stata ricoverata d’urgenza per iniziare le terapie. Dopo vari cicli, si è scoperto che era resistente alla chemioterapia, e così è stata inserita nel registro per il trapianto di midollo osseo.

Fortunatamente, abbiamo ricevuto una risposta positiva: un “angelo tedesco” si è rivelato compatibile. Il trapianto è stato effettuato il 12 novembre dello stesso anno. Dopo l’intervento, passati due mesi, mia figlia aveva bisogno di continui controlli e terapie in ospedale.

Ma era profondamente debilitata. Spostarla era doloroso e complicato. All’epoca, le cure domiciliari non erano ancora attive o strutturate come lo sono oggi.
Da quel momento, rendere questo servizio realtà e renderlo completo è diventato uno dei miei obiettivi principali.

 

 Patrizia Casarotti
Patrizia Casarotti, Presidente AIL Taranto e provincia

 

G.: L’AIL a Taranto opera in un territorio già provato da tante battaglie, anche ambientali. Che impatto ha questo contesto sul vostro lavoro?

Casarotti:
C’è un aumento costante di pazienti non solo a Taranto ma anche nelle province vicine. Solo nel 2024, i day hospital hanno assistito oltre 5.000 pazienti con diverse patologie ematologiche.
AIL Taranto, attraverso il suo servizio di cure domiciliari, ha seguito 225 pazienti nello stesso anno.

Tutto questo è stato possibile grazie al lavoro straordinario del nostro staff, che ogni giorno si muove casa per casa, portando non solo cure, ma anche presenza, ascolto e speranza.

 

 

G.: C’è un episodio, oltre quello personale, che l’ha cambiata nel suo cammino in AIL?

Casarotti:
Ogni storia ci lascia qualcosa. Ma naturalmente, l’esperienza con mia figlia è stata la più determinante. Mi ha fatto toccare con mano quanto possa essere importante una rete solidale per le persone più fragili. Ogni paziente ha bisogno di sentirsi visto, accompagnato. E ogni famiglia ha bisogno di sentirsi meno sola.

 

 

Giornalista: In un mondo che corre e dimentica, cosa possiamo imparare dalla malattia?

Casarotti:
L’umanità. Solo attraverso la fragilità impariamo davvero a riconoscere il valore del tempo, dell’ascolto, della presenza.

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G.: Se potesse lanciare un messaggio alle istituzioni e ai giovani, quale sarebbe?

Casarotti:
Alle istituzioni, chiederei di essere concretamente vicine alle associazioni come la nostra. Siamo come piccoli ospedali itineranti, fondamentali per chi non può spostarsi o affrontare da solo il proprio percorso di cura.

Ai giovani direi: avvicinatevi al volontariato, sostenete le associazioni, donate sangue, donate midollo. Potete essere la speranza per qualcuno. E poi, sì: fate informazione, parlatene.
Solo così possiamo superare i pregiudizi e costruire una cultura della solidarietà.

 

 

G.: Come si sopravvive alla stanchezza, alla frustrazione, a volte anche all’impotenza?

Casarotti:
Pensando che, anche quando siamo esausti, una vita può essere salvata. E allora la stanchezza lascia il posto al senso.
Credo che ognuno di noi, nel suo piccolo, debba sentirsi responsabile. L’indifferenza è il più grande ostacolo dei nostri tempi. Per combatterla, dobbiamo tornare a coltivare la nostra umanità.

G.: Se dovesse racchiudere il suo sogno in una frase?

Casarotti:
Che un giorno nessuno abbia più bisogno dell’AIL. Ma che tutti la conoscano solo per gratitudine.


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