Sono ormai lontani i tempi delle notti folli, delle albe con gli amici e degli amori estivi fugaci. La spensieratezza della gioventù si fa da parte per fare spazio alle responsabilità della vita adulta. Addormentarsi la sera in un orario che vada oltre le 23:00 diventa quasi un miraggio, un’utopia.
Improvvisamente veniamo colpiti da quell’irresistibile profumo di ammorbidente alla vaniglia che arriva dal negozio di casalinghi proprio sotto casa; per non parlare della nuova fantasia dei copripiumini Ikea, perfettamente intonati con la camera da letto.
E’ proprio così che ci rendiamo conto che i nostri vent’anni non sono più venti, non sono più un cornetto caldo a mezzanotte o un risveglio post sbronza senza mal di testa.
D’un tratto ci accorgiamo che i nostri interessi sono cambiati, i nostri gusti sono cambiati, così come è cambiato anche il metabolismo. Si dice che il decadimento fisico inizi dopo i 25 anni, ed effettivamente è proprio così, o almeno, così affermano in tanti.
Per quanto mi abbiano sempre entusiasmata i copripiumini colorati, così come l’ammorbidente, rigorosamente al profumo di cotone, ho capito che qualcosa era cambiato quando un giorno il cassiere del supermercato mi ha chiesto se fossi sposata.
Alla mia risposta negativa mi fissò sgomento, aggiungendo: “Ma quanti anni hai?”. Con un sorriso un po’ amaro, tipico di chi si sente in difetto, ho risposto timidamente “28. Ho 28 anni”. Chiuse la discussione con un’eloquente interiezione: “Ah.”
Ma non è stato l’unico episodio. Qualche tempo fa, tornata a casa per una visita ai miei genitori, una vicina mi chiese brutalmente: “Ma allora? Quando ti sposi? Ormai hai una certa! Mia nipote si è sposata a maggio!”.
Anche in quel caso abbozzai un mezzo sorriso e una risposta laconica. Me la cavai con pochi danni, insomma.
Ho riflettuto su questi accadimenti e forse il problema è che la nostra società è ancora oggi fortemente di matrice patriarcale, una società in cui la donna ha un ruolo soltanto in funzione del marito.
Il matrimonio non è più la condicio sine qua non del nostro tempo, ma si fa ancora fatica a svecchiare questa convinzione.
Noi donne, in questa società fatta di concorrenza lavorativa, vita frenetica, vanità (perché no? Tutti abbiamo il diritto di sentirci bene e a prenderci cura di noi stessi), abbiamo una spada di Damocle che pende sul nostro capo: il matrimonio.
Ma le donne sono tali in quanto individui, a prescindere dalle decisioni sentimentali. In un mondo fatto di consapevolezze, dove ognuno basta a sé stesso, siamo davvero sicuri che per avere un ruolo si debba essere subordinati a qualcun altro?
Voi cosa ne pensate?
Claudia Cantelmo, cilentana classe ‘94, è una scrittrice. Attivista per i diritti umani delle donne, amante della musica barocca e avida lettrice, fa della sua sferzante ironia la chiave per affrontare gli imprevisti della vita. Ma la sfortuna la perseguita.