La luce scolpisce superfici e oggetti, definisce atmosfere, rivela e nasconde. Sui set cinematografici domarla è un’arte la cui maestria permette di esaltare narrazioni, emozioni e sensazioni.
La luce è un vero e proprio linguaggio per chi lavora con le immagini e gestirla sul campo in modo ottimale fa certamente la differenza. Nel cinema, soprattutto, è uno strumento imprescindibile della narrazione perché crea le giuste atmosfere, sottolinea le espressioni degli attori, valorizza le scenografie.
Oggi ne parliamo con la fotografa Stefania Rosini, colei che ha deciso di realizzare i suoi sogni sui set cinematografici di Los Angeles
Come e quando si è sviluppato il tuo interesse per la fotografia?
Mi sono appassionata alla fotografia, credo quando avevo circa 8 anni vedendo l’allora fidanzato e ora marito di mia cugina, scattare foto agli abitanti e agli scorci del mio paese. Credo di aver avuto la folgorazione quando per la prima volta ho visto l’immagine emergere dalla carta in camera oscura. Era una specie di magia e da lì ho capito che avrei voluto intraprendere questa strada.
La prima volta in un set cinematografico?
La prima volta è stato al secondo anno del DAMS, nei cortometraggi dei miei compagni di corso. Primissimo in assoluto, Provaci Ancora di Marcello Vai, dove Michele D’Attanasio (ora affermato direttore della fotografia) ricopriva mille mansioni del set, dal macchinista, elettricista e persino catering. Ma diciamo che i veri primi set li ho fatti quando mi sono trasferita a LA: grazie al mio migliore amico Pierluigi Malavasi ho lavorato alla serie tv di History Channel “Nostradamus Effects” mentre il mio carissimo amico Bret Roberts mi ha introdotto al cinema indie hollywoodiano.
Ogni macchina fotografica ha delle caratteristiche differenti, tu con quali preferisci lavorare e perché?
Sono sempre stata una nikonista e non ho mai abbandonato l’analogico, ma diciamo che per il mio lavoro, la fotografia di scena, al momento la Sony ha le macchine mirrorless migliori, silenziose di modo da poter scattare anche mentre si gira. In particolare uso due Sony A9 e una potentissima A1.
Quanta disciplina ci vuole per essere un bravo fotografo?
Devi avere il fuoco che arde dentro, come in tutti i lavori del resto, perché devi essere disposto a fare mille sacrifici, a livello economico e personale. Soprattutto nel mio campo devi essere disposto a lavorare per molte ore spesso in condizioni climatiche non del tutto ideali, mantenendo sempre alto l’entusiasmo.
Quale è la parte più divertente del tuo mestiere?
Sicuramente la libertà di espressione anche perché io sono il mio caporeparto. E la possibilità di essere sui set cinematografici, l’altra mia grande passione. E poi sicuramente viaggiare.
Entrare nel cinema attraverso un obiettivo era nei tuoi sogni. Come è arrivato?
Sì, ai tempi dell’università mi sono resa conto che avrei così potuto unire le mie due grandi passioni.
La fotografia ha un compito preciso?
Per me che non sono brava con le parole… “Photography is the story I fail to put into words”.
La memoria tangibile. Le fotografie, per esempio quando perdi una persona, sono il ricordo più tangibile che ti rimane.
Quando ti accorgi di una situazione o di una persona che vuoi fotografare quanto conta l’improvvisazione e quanto, invece, lo studio dell’immagine e la luce?
L’elemento luce è sempre fondamentale, ma sicuramente il cogliere l’attimo ha sempre l’importanza principale. Le cose spontanee in generale anche nella vita le preferisco di gran lunga alla messa in scena, a meno che non sia quella del set.
Quanto importanti sono stati i riferimenti iconografici e figurativi per il tuo lavoro?
Importantissimi! Bisogna guardare al passato, sapere chi è venuto prima di te. Studiare i grandi della fotografia è fondamentale per avere la padronanza della costruzione dell’immagine. Se avessi un ruolo di potere, implementerei sicuramente l’educazione all’immagine nelle scuole dell’obbligo.
Quali sono i tuoi fotografi preferiti? E i direttori della fotografia cinematografici prediletti?
Menzionando molto velocemente i grandi del passato da Robert Frank, Doisneau, Bresson, Weegee, Mary Ellen Mark etc., i contemporanei che adoro sono Mark Saliger, Anton Corbjin, Danny Clinch e soprattutto Peter Lindbergh: pur non amando la moda, penso che il suo modo di fotografarla fosse qualcosa che andava oltre.
Tra i fotografi di scena invece, i miei colleghi della Society of motion picture still Photographers (SMPSP): Jasin Boland, Hopper Stone, Niko Travernise, Merie Wallace, Frank Masi, David James, Ralph Nelson, Douglas Kirkland, etc
Siamo la società delle immagini. Pensi che questa inflazione d’immagini sul web e in tutti i media tolga qualcosa a chi si dedica con passione e serietà alla fotografia?
I social media sicuramente hanno contribuito ad un abbassamento degli standard in generale, dove tutto è considerato arte e si è perso un po’ la consapevolezza di quello che è veramente una bella immagine. Basta un filtro ed è fatta, tutti fotografi, svalutando così chi, davvero si dedica ad una ricerca e dedizione per questo lavoro.
Come ti definisci nel tuo lavoro?
Determinata, appassionata e agguerrita: non smetterò mai di portare il mio entusiasmo nel mio lavoro.
Stefania Rosini
Website: www.stefaniarosini. com
IMDB: http://www.imdb.com/ name/nm3466834/
Salve sono una manager esperta in comunicazione, che punta sull’innovazione e la ricerca, il mio settore è legato alla sfera moda anche se la mia cultura e il mio spirito di osservazione mi portano ad avere sfaccettature che sinergicamente si avvicinano all’arte, alla musica e a tutto ciò che svela la nuova tendenza. Adoro il mondo del Fashion che coltiva la cultura e le tradizioni: incantata dalla genialità di un Alexander McQueen e dall’eleganza innovativa di un Jean Paul Gaultier. Sono una sognatrice autentica che crede che le passioni sono l’alimento per concretizzare i sogni, amo viaggiare,visitare musei, conoscere e documentarmi sempre….