Luc Besson e la carica dei 101

Eleonora Ono

Luc Besson prende il teletrasporto, fa un salto negli anni ‘90 senza destar troppo scalpore e fastidio e, una volta creato il capolavoro, torna sistematicamente fresco come una rosa nel 2023 portando con sé una pellicola clamorosa, Dogman.

 

Luc Besson
VENEZIA: Luc Besson al photocall di “Dogman” all’80 edizione del Festival del Cinema di Venezia  (Photo by Stephane Cardinale – Corbis/Corbis via Getty Images)

 

Ma come riesce a creare tanta poesia?

Film che racconta di un outsider, Douglas, interpretato da un magistrale Caleb Landry Jones, che è riuscito a sopravvivere a tante disgrazie. Cresciuto senza amore, maltrattato dal padre e dal fratello. La storia prende forma step by step attraverso flashback, grazie ad un ritmo originale. I cani, suoi simili, sono i figli che si è scelto per contrastare la violenza dei suoi familiari, visto che erano gli unici che gli dimostravano affetto, creando una connessione magica e quasi soprannaturale. Anche perchè non fidandosi degli esseri umani, il ragazzino solitario, cresce direttamente con loro in gabbia. Infatti, nulla vien per nuocere.

Tuttavia, non sono consentiti spoiler!
Ci sono alcuni tratti distintivi che denotano un’ assoluta voglia di fuggire seppur rimanendo come in una bolla, generando del sano controsenso in termini. La sua dimora difatti è contornata da dettagli particolari, ad esempio il letto a baldacchino, una postazione per il make-up, numerose maschere e molteplici schermi.
Nonostante il timore di ciò che è il “fuori”, alimenta le sue passioni con libri da cucina, travestimenti, parrucche, ciglia finte: questo suo talento lo porta a lavorare per un gruppo di Drug Queen, esibendosi ogni venerdì sera.

 

 

 

Ma cosa c’è dietro a tutto questo?

Della sofferenza indiscussa, un tormento, odore di fallimento ogni tre passi, sentimenti mai corrisposti se non dai suoi amici cani ed uno status di abbandono perenne.
Nessuno si salva da solo. Infatti, il protagonista non era palesemente in grado di pensare alla sua salute né mentale né, tantomeno, psicofisica.
Il teatro, l’arte, la cultura son riusciti ad ispirarlo e, non a caso, Shakespeare è la sua musa ispiratrice, grazie all’innamoramento per la maestra di teatro.

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Dunque, Il dolore sarebbe stato troppo grande per restare in un corpo solo, pertanto il travestimento ha rappresentato salvezza per la sua persona.
Besson questa volta, come non mai, ha scavato nell’anima, forse andando anche oltre. Ha toccato l’iperuranio, ed ha fatto strike.

Qual è il modo migliore per guarire dalla disperazione?

Con l’aiuto dell’arte sicuramente, senza di essa si è perduti. Ad ogni modo non solo: l’opera cinematografica condensa tutto su come l’uomo, ancora oggi, continua a far fatica a riconoscere questa sofferenza e, soprattutto, quanto non vuole fuggirla; è più facile rinchiudersi in una gabbia finché non ci si chiede per davvero se quest’ultima sia proprio la mente umana.

Vi è inoltre un concetto importante: la società, con la quale è difficile collaborare, poiché finge di coinvolgere la popolazione; cerca, senza risultati, di salvaguardare queste creature reiette che non si sentono accettate. Probabilmente perché neanche queste riescono in toto ad accogliere una parte di loro stessi.

Richiami ed ispirazioni ad un “Joker” di Todd Philipps, ad un “The Whale” con l’interpretazione indiscussa di Brendan Fraser, “Carica dei 101” per il branco di animali uniti e soprattutto un reminder sottile al capolavoro di Jonathan Damme “Il silenzio degli innocenti “per il rapporto con la psichiatra. In relazione a ciò, si instaura sin da subito un’imprinting con la dottoressa, generato da un grande strazio comune, quasi tangibile, come una forma di condanna.

Infine, la figura di Dio misericordioso è molto forte ed importante dal momento che resta l’unica cosa alla quale aggrapparsi.

“Nikita” e “Lèon” saranno stati sicuramente dei capolavori ma questo alza in maniera indiscussa l’asticella!


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