Roma si è svegliata sotto il Tricolore. Il cielo limpido di giugno, attraversato dalla Pattuglia Acrobatica Nazionale, ha chiuso con una scia d’orgoglio le celebrazioni ufficiali della Festa della Repubblica. Un rituale che ogni anno si ripete: la corona d’alloro al Milite Ignoto, i sindaci in fascia, il Presidente Mattarella a bordo della Lancia Flaminia, il canto dell’Inno. Ma dietro la cerimonia perfetta si cela una domanda che ci riguarda tutti, forse più che mai nel 2025: cosa significa oggi essere italiani?
L’identità italiana, oggi, non basta celebrarla: va riletta, riscritta, vissuta.
Settantanove anni fa, nel 1946, 25 milioni di cittadini – uomini e donne – scelsero con coraggio una nuova forma di Stato. Fu un atto fondativo, collettivo, che diede vita alla Repubblica. Eppure, quella stessa identità oggi ci appare come un’opera ancora in corso. Non basta più ripetere i riti: occorre domandarsi se li stiamo davvero abitando.
Essere italiani oggi non è più, o non è soltanto, parlare una lingua, riconoscersi in un paesaggio o tramandare una cucina. È, piuttosto, riconoscersi nella diversità dei volti e delle storie che abitano il Paese: nelle seconde generazioni, negli artigiani che resistono, nei giovani che si impegnano per l’ambiente, in chi cura gli altri o lotta per diritti che non ha mai dato per scontati.
Tra memoria e futuro: la Repubblica come promessa
La parata ai Fori Imperiali è carica di simboli. Ma la Repubblica non è solo ciò che mostriamo: è ciò che scegliamo di essere ogni giorno. In un’epoca di disincanto e polarizzazioni, è forse tempo di tornare a quella domanda originaria: chi vogliamo essere come comunità?
Articolo 3 della Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…”
Parole che chiedono ancora di essere realizzate. Non solo lette o ricordate.
La bellezza dell’Italia è vera, ma fragile. Vive nei paesi che si spopolano e nelle università svuotate, nei medici che tengono in piedi un sistema, nei giovani imprenditori che scelgono di restare. Vive dove la democrazia è vissuta come una pratica quotidiana, non come un’eredità da conservare.

Essere italiani nel 2025: responsabilità, servizio, possibilità
Il tema scelto per le celebrazioni di quest’anno – “A difesa della Repubblica, al servizio del Paese” – parla di impegno. Ma l’impegno non è solo militare: è civile, etico, culturale. È nel modo in cui votiamo, ascoltiamo, critichiamo, costruiamo. Nell’epoca dei like e delle narrazioni istantanee, l’identità non ha bisogno di retorica. Ha bisogno di responsabilità.
Essere italiani nel 2025 forse significa proprio questo: non smettere di cercare il significato profondo del nostro stare insieme. Non accontentarsi delle celebrazioni, ma trasformarle in coscienza. La Festa della Repubblica, alla fine, non è una ricorrenza. È una promessa da rinnovare. In piazza, sì. Ma soprattutto nelle nostre azioni. E nelle nostre scelte.
G.C.