Omicidio a Bergamo: specchio di una società malata


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Un sabato sera, una lite tra tifosi, un ragazzo a terra, ucciso da una sola coltellata. Riccardo Claris aveva 26 anni, una vita davanti e il sogno semplice di ogni tifoso: vivere la passione per la sua squadra, l’Atalanta. A strapparglielo è stato Jacopo De Simone, 19 anni, incensurato, apparentemente il volto di un’Italia che studia, lavora e costruisce il proprio futuro. Un incontro casuale, una spirale di violenza e poi la tragedia.

Ma questo non è solo un fatto di cronaca. È l’immagine nitida di una società che ha perso l’equilibrio, dove la rabbia cova sotto la superficie e esplode alla prima scintilla. Dove la cultura del confronto civile cede il passo a quella della sopraffazione, e dove il gesto estremo diventa una risposta immediata, quasi automatica.

 

da sinistra nella foto, Jacopo De Simone, l’aggressore.. a destra, Riccardo Claris, la vittima

 

Le parole di cordoglio istituzionali – doverose – si sommano ancora una volta alle tante già ascoltate in episodi simili. Ma resta la domanda più scomoda e urgente: cosa si sta davvero facendo per spezzare questo circolo vizioso?

La violenza, ormai diffusa e trasversale, non si argina solo con le leggi o con la repressione. Serve un cambiamento culturale radicale, che cominci nelle scuole, nelle famiglie, nei luoghi di aggregazione, per educare al rispetto e alla gestione del conflitto.

 

Via Ghirardelli, a Bergamo, luogo dell’omicidio – foto: Bedolis

 

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Il sangue di Riccardo grida un monito: non possiamo più permetterci l’indifferenza. Non basta indignarsi a tragedia avvenuta. Servono scelte politiche coraggiose, investimenti concreti e un’assunzione collettiva di responsabilità per proteggere i giovani e costruire spazi sociali più sani e sicuri.

Questa tragedia non deve diventare solo un altro titolo, ma uno specchio in cui guardarsi e riflettere sul mondo che stiamo lasciando a chi verrà dopo di noi.

G.C.


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