Sold out ed emozioni al Cinema Caravaggio per “I nostri giorni”

Eleonora Ono

Sala gremita, tanto interesse e curiosità ha suscitato l’anteprima romana del cortometraggio “I nostri giorni” diretto da Jacopo Marchini, prodotto dalla Movi Production, realizzato con il sostegno del Ministero della Cultura e SIAE nell’ambito del programma “Per chi crea”.

La proiezione è stata preceduta da un saluto ed annuncio della produttrice Martina Borzillo, al termine un lungo e caloroso applauso da parte del pubblico ed ospiti presenti, colpiti dalla storia molto attuale e toccante. Un bel cortometraggio diretto con sensibilità e grande meticolosità tecnica dal regista che ha saputo valorizzare in particolar modo l’impatto che i personaggi hanno nella storia interpretati dal talentuoso cast artistico formato da Daniela Poggi, Stefano Gianino, Francesco Martino, Valentina Corti, Pietro De Silva, Marta Cherni, Paolo Ricci, Claudia Guidi, Alessandro Garbin, acclamati dagli ospiti in sala per la loro bravura ed interpretazione. A fine proiezione, con la mediazione di Francesca Piggianelli, anche curatrice dell’evento, il cast ha condiviso l’entusiasmo per aver fatto parte di questo importante progetto.

Il regista e la produttrice hanno ringraziato tutto il pubblico per la calorosa partecipazione in sala ed annunciato che, in considerazione del sold out dell’anteprima, ci sarà una prossima data di proiezione, inoltre il cortometraggio avrà una distribuzione internazionale.
Un ringraziamento anche agli ospiti presenti, tra cui Laura Delli Colli, Susanna Maurandi, Niccolò Gentili, Saverio Vallone, Miriam Rizzo, Simone Bartoli, Emanuela Corsello, Francesco Apolloni, Daly Kally.
La produttrice ed il regista hanno voluto anche ringraziare quelli che hanno definito “i mai più senza” ovvero tutti quei professionisti che hanno sposato il progetto con tale passione e dedizione da fornire un contributo unico.

Regista e Casa di Produzione
Jacopo Marchini è un regista e Direttore della fotografia i cui progetti spaziano principalmente dal settore cinematografico a quello musicale.
Le sue skills e il suo stile, caratterizzato da una meticolosa tecnica nella messa in scena e un’estrema cura nella costruzione dei personaggi, lo hanno portato in breve tempo a collaborare con artisti di altissima qualità e con le più grandi etichette discografiche come Sony Music, Warner Music e Universal.

Nel 2019 è stato riconosciuto come Membro Associato della prestigiosa associazione di categoria Autori Italiani della Cinematografia (AIC) e ad oggi ne fa ancora parte. Nel 2021, con l’esperienza accumulata nel settore audiovisivo ha fondato insieme alla Produttrice Martina Borzillo, la casa di Produzione cinematografica Movi Production che sempre più si sta facendo strada nel panorama del cinema indipendente italiano e internazionale.

Per le nostre interviste Wonderyou ha avuto il piacere di dialogare con il regista, Jacopo Marchini.

Raccontaci come è nata l’idea di girare questo cortometraggio “I giorni nostri”?
L’idea è arrivata da una grande personale presa di coscienza, da un’attenta riflessione psicologica dell’essere umano che, – purtroppo – ai giorni d’oggi, è estremamente influenzato da giudizi e preconcetti, che non forniscono una crescita costruttiva. Mi dispiace ammetterlo, ma stiamo vivendo una vera e propria alienazione dell’individuo; scomponendo il problema in piccole particelle, si evince che l’individuo è diventato schiavo di un sistema difficile in cui il lavoro è al centro e le persone, in quanto tali, sono poco considerate e si perdono in loro stesse per poi non riconoscersi più.

In questo cortometraggio tutta la squadra ha cercato di fare e dare il massimo. 
Pensate che in realtà potrebbe essere quasi considerato un lungometraggio/film, dal momento che la durata è di 35 minuti ed il cast è composto da 9 attori, solitamente non accade spesso.
Tuttavia, la considerazione fondamentale che sostiene tutta questa opera, è la parte psicologica, più sensibile, quella più introspettiva del singolo, quello spazio interiore e così profondo attraverso il quale è quasi “consentito” distanziarsi dalla quotidianità; ed è necessario, proprio per questo motivo, fermarsi un’istante – anzi- soffermarsi sulle questioni davvero importanti.

Infine, rifletto ed espongo un pensiero importante che mi risuona in mente: È possibile continuare a vivere così passivamente?

 

I nostri giorni

 

Come hai gestito il tuo ruolo di “Direttore della fotografia” all’interno di questo cortometraggio?
Questa volta non sono stato io il direttore della fotografia ma un mio validissimo collega, Sammy Paravan, con il quale ho instaurato sin da subito un operato simbiotico, parlando chiaramente una lingua comune.
 Ho sempre avuto le idee molto chiare e vivide in testa, perciò la resa non è stata difficoltosa, sotto questo punto di vista.

 

I nostri giorni

 

Infatti, il lavoro è sempre stato dall’inizio molto tecnico, cercando di dare anche un look mirato:
abbiamo deciso di creare, attraverso dei colori desaturati, una modalità precisa, come se fosse un film di fantascienza, un po’ grigio, come la città di GothamCity nelle pellicole di Batman.
 Chiaramente non si trascura nulla, qualsiasi dettaglio è fondamentale; perciò anche il rumore del camion della spazzatura crea l’idea di essere all’interno di una vera e propria città caotica e confusionaria.

Nella tua opera citi 3 protagonisti in particolare, hai qualche legame curioso con questo numero o con altre cifre? Se sì raccontaci il perché?
Non possiedo un grande amore per questo numero, il tre in particolare.
 Tuttavia, ho la passione per le cifre dispari perché in qualche modo generano disequilibrio, una frattura.
 Il concetto è che da qualche parte ci dev’essere una rottura, una crepa dalla quale entra la luce e si procede verso una progressione o un percorso, dal quale si può solo che apprendere e crescere. 
Del resto, sono i personaggi che costruiscono la storia essendo loro i veri motori.

 

I nostri giorni

 

C’è stato un enorme e minuzioso lavoro di squadra con gli attori, ai quali è stata data una valida libertà di espressione, a seguito di uno studio accurato del copione. 
Chiaramente, come il direttore della fotografia deve saper illuminare il punto corretto in scena, l’attore deve essere in grado di indossare qualsiasi panno.

 

 

Sei riuscito a creare un clima molto intimo e familiare all’interno del cast, qual è la ricetta giusta?
Quello che sono riuscito a scrivere appartiene alla mia personalissima visione ma è un lavoro totalmente di squadra che si modella grazie ad un approccio costruttivo.
Una delle mie paure è quella di dire “io ho fatto”
poiché – in realtà – il cortometraggio è un miracolo creato e composto da un numero spropositato di persone.

 

 

In che modo è possibile salvare questa società?
Rallentando. Bisogna vivere un pochino più lentamente.
 Si procede con troppa velocità e ciò non può essere sinonimo di bravura e destrezza.
Bisognerebbe curare di più il lavoro svolto per evitare di tralasciare qualcosa di importante nel proprio cammino.
Mi sono reso conto che non potevo continuare a vivere così a pieno ritmo.

 

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Non esiste una “lista” sia urgente che importante:
se si tratta di una questione impegnativa è possibile comunque rimandarla al giorno successivo, senza alcun problema o senso di colpa.
 In ogni modo, oggi siamo completamente bombardati da informazioni e, a differenza dei tempi non sospetti del passato, aiutati dalla tecnologia ad avere la risposta subito pronta; invece prima dovevi essere per forza stimolato dall’esterno per andare ad agguantare delle informazioni o curiosità.
Dovremmo riuscire a coltivare nuovamente l’attesa, la noia, si dovrebbe insegnare ai più giovani l’ascolto dei loro bisogni secondo le proprie attitudini.

Perché secondo te la fragilità e/o l’educazione sono viste, al giorno d’oggi, come sintomo di debolezza?
Purtroppo non si può pensare di cambiare la società.
Fondamentalmente vorrei far qualcosa ma non è facile. 
Alcune volte, la fragilità deve essere protetta o “soppressa”, cercando di inserire uno scudo, così da non esporsi troppo, ma allo stesso tempo, senza disunirsi.

 

 

Le difficoltà riscontrate in questo girato?
Il motto è sempre stato “il primo giorno di set il film è finito”.
È inevitabile che escono fuori alcune problematiche nella creazione fattiva dell’operato, anche perché ci sono stati tanti spostamenti fatti con velocità.
 Infatti, ringrazio tantissimo la troupe per aver sposato il progetto e per aver dato il massimo ogni giorno.

È possibile oggi riconoscere ciò che è realmente indipendente e ciò che non lo è?
Non è facile distinguere un film indipendente. Il tecnicismo lo compri ma il contenuto assolutamente no.
I registi indipendenti sono incredibilmente bravi
Inoltre, alcune volte il produrre in maniera spasmodica può portare a sottomettersi per la volontà e per l’esigenza di creare doverosamente. 
Infine, il cinema autonomo può aggiungere. 
Pertanto, la speranza è proprio questa: portare nelle sale cinematografiche questa pellicola, ricca di spunti psicologici, per fornire un valore aggiunto al prossimo.

 

 

Cosa conta davvero per te nella vita?
Vengo dal mondo della fotografia e quando studiavo, si parla proprio agli albori della mia carriera, avevo il desiderio di girare in pellicola, ma il mio professore mi diceva che questo metodo non era più valido.
Tant’è che con il tempo ho rincontrato il mio mentore il quale mi disse: “ricordati che nella vita verrai ricordato per quello che fai fuori dal lavoro”. 
In quel momento ho capito di avere l’oro nelle mani: fare questo mestiere era un vero privilegio, però quello che conta davvero è quello che riusciamo ad infondere all’esterno, come l’amore per i figli e le persone importanti.

Il tuo genere di Film preferito?
Sono un thriller man, amante di quel genere un po’ più psicologico e mi appassiona il concetto di “sfaccettatura del personaggio”, l’approccio del detto del non detto, anche se il mio cuore batte all’impazzata per la squadra dei gialli. 
Ad esempio, all’interno del cortometraggio vi è un personaggio, Daniela Poggi, che interpreta una donna malata di Alzheimer, in una completa fase di presa di coscienza del sé, che si domanda se ne è valsa la pena aver vissuto così imprigionata nel suo mondo in cui tutto girava intorno al lavoro.


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