Paola Calliari: “unire la danza alla recitazione”

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Paola è nativa di Trento, inizia a sette anni con la ginnastica artistica e successivamente segue corsi di teatro, vanta note collaborazioni internazionali che la coinvolgono in parte sulla danza e in parte nella tecnica teatrale, durante il suo percorso artistico più volte si è trovata davanti ad un bivio di scelta, la danza o la recitazione?

Una scelta da Paola mai fatta, semplicemente perché la sua aspirazione era unire le due arti, oggi abbiamo il piacere di incontrarla perché la sua passione e determinazione  hanno concretizzato quello  che per Lei era un sogno “unire le due arti”.

 Paola quando e come nasce la volontà di unire la disciplina della danza con quella attoriale?

R.: Da quando ho iniziato a praticarle insieme a quattordici anni. Prima ero una ginnasta ma dopo un incidente durante un allenamento mi sono fermata per un anno e nel frattempo ho iniziato sia col teatro che la danza.

Per me muovermi è sempre stata una necessità. A tre anni avevo detto una volta a mia madre “che noia deve essere startene morti fermi in una bara senza poter muoversi”. La passione per il teatro è nata allo stesso tempo. Credo per me all’inizio fosse un gioco e una necessità di comunicare. Una volta iniziate non le ho più lasciate. Più volte mi sono ritrovata, durante il mio percorso persone sia vicine che lontane che mi chiedevano cosa avrei scelto di fare da grande tra le due, quale avrei smesso. Per anni mi sono preoccupata di dover fare una scelta senza mai riuscirci. Finché crescendo ho conosciuto persone che mi hanno fatto realizzare che non per forza dovevo sceglierne una ma che potevo unirle e metterle insieme perché entrambe fanno parte di chi sono, della mia identità e linguaggio artistico. Dovevo solo imparare a metterle insieme e farci pace.

Rosa Morelli, la mia acting coach è stata la prima a spronarmi e ad aiutarmi a cercare un mio linguaggio e un’identità. Grazie a lei ho partecipato ad un workshop sui sogni con Elisabeth Kemp, sua collaboratrice ( acting coach di Bradley Cooper , Hugh Jackman, Lady Gaga,..). Durante quel workshop ho lavorato su personaggi come Pina Bausch e Marta Graham, le quali mi hanno aiutata ad aprire una nuova dimensione interiore.

Un’altra esperienza è stata quella del Watermill center a New York con Robert Wilson. Durante quella residenza sono entrata in contatto con artisti di diverse nazionalità e background. La stessa esperienza di vivere per 6 settimane insieme a loro e lavorare per mantenere la struttura del centro e osservare il lavoro di Bob sono stati di grande ispirazione. Era la prima volta che mi sono trovata in crisi e non sapevo cosa fare, sentivo l’ esigenza di esprime e creare qualcosa di mio da zero. Ho conosciuto la la scenografa francese Chloé Bellemere che ora lavora alla Comédie-Française e con la quale abbiamo iniziato a collaborare per un progetto coreografico.

Ogni forma di espressione artistica ha una sua fonte di ispirazione qual è la sua?

R.: La maggior parte delle volte nasce da un bisogno interiore di comunicare con il mondo esterno e creare un legame con le persone. È un bisogno di rendere l’invisibile visible attraverso l’arte. Per invisibile intendo sentimenti, pensieri, emozioni, immagini interiori. Come fonte d’ ispirazione spesso per me è andare a teatro o al museo, stare nella natura ed osservare. Ci sono anche personaggi ed artisti da cui prendo grande inspirazione come Pina Bausch o attrici come Charlize Theron.

Ci Parli del rapporto con suo padre prima che si ammalasse?  

R.: Per me mio padre è sempre stata una grande figura di riferimento. Da piccola un grande papà con cui giocare, crescendo si è allontanato a livello affettivo anche se è sempre stato presente a livello di crescita intellettuale e di aiuto economico. Durante la mia adolescenza l’ ho vissuto più come un Maestro che come un papà e spesso mi è mancata come figura con cui parlare.

La malattia di suo padre quanto lha cambiata?

R.: Molto. Sono sempre stata un po’ un maschiaccio da piccola perché associavo l’ essere indipendente a dover cavarmela da sola o l’ essere femminile all’ essere debole. Fin da piccola mio padre mi ha incoraggiato ad essere indipendente perché prima o poi “ lui ci avrebbe lasciati” così ci diceva. Questo credo mi abbia spinta ad avere una corazza che non mi permetteva di mostrarmi debole agli altri. Da quando mio padre si è ammalato ho riscoperto la mia femminilità. Mi sono riavvicinata a lui anche fisicamente, quando lo vedo ci abbracciamo spesso.

La demenza è una malattia degenerativa. È  molto difficile da accettare perché è come una perdita. Perdi la persona che ami, quella che ti ha cresciuta, uno dei tuoi punti di riferimento. Non la perdi fisicamente ma perdi la sua identità. Perché purtroppo una persona affetta da demenza senile con l’ andare avanti perde l’identità che aveva, i ricordi, i comportamenti di una volta. Col passare del tempo però ci si accorge che l’ amore rimane. Anche se quella persona che una volta ti chiamava per nome ora a volte ti chiama “pasta”, riconosci nei suoi occhi e gesti che ti ama.

Sono state la compassione, l’ amore e l’ umiltà  che ho visto e scoperto attraverso la malattia di mio padre che mi hanno resa donna e mi hanno insegnato che anche se a volte la vita ti sembra farti affondare con degli eventi che ti fanno sentire senza potere in realtà a te rimane sempre la libertà di scegliere come comportarti di fronte ad esse. Mi ha insegnato ad aiutare gli altri e che va bene se non siamo perfetti o sempre pronti a combattere.

Lei è stata più volte premiata, c’è un premio a cui lei attribuisce maggior importanza affettiva?

R.: Tutti I premi ricevuti li ritengo di grande valore per motivi diversi. Quello per il quale attribuisco maggior importanza affettiva è l’ultimo ricevuto al Kadoma International Film Festival in Gappone nel 2019 come migliore attrice non protagonista. Il ruolo di Sara nel film “L’ età imperfetta” l’ho vissuto appieno ed è stato anche di grande catarsi personale. Mi ricordo L’ ultimo giorno sul set appena avevo finito mi sono chiusa in bagno a piangere e a ringraziare il mio personaggio ed il suo archetipo per il percorso fatto assieme.

Aveva toccato delle corde profonde della mia adolescenza e portato a galla profonde ferite che non era stato facile rivivere. Durante il set mi ricordo di essermi trovata più volte a combattere con me stessa per rimanere concentrata e positiva senza farmi prendere dal personaggio. Sara era un personaggio che per colmare l’ enorme vuoto e rabbia interiore usava comportamenti distruttivi, tutto questo per sentirsi viva. Dover riaprire le mie ferite senza perdermi nell’abisso è stata una sfida ma alla fine mi sono sentita più forte che mai. Per questo essere stata premiata per quel ruolo ha una maggiore importanza affettiva. Inoltre mi hanno fatto volare in Giappone che era uno dei miei sogni!

Nella danza quali sono le tecniche che lei usa?

R.: Da piccola ho iniziato come ginnasta ma poi ho  studiato sia danza classica che danza contemporanea. La ginnastica artistica mi ha lasciato un sacco di capacità acrobatiche ma le tecniche che più mi hanno cambiata sono GAGA e il GYROTONIC(R) GYROKINESIS(R). Nel 2003 ho subito un incidente in parapendio dove mi sono rotta il tallone destro e per un anno e mezzo sono stata senza ballare. Il GYROTONIC(R) mi ha aiutata un sacco nella riabilitazione. Ho cambiato approccio al movimento e al mio corpo.

La stessa cosa per la tecnica GAGA che ho studiato a Gerusalemme durante un semestre all’estero alla Hebrew University e Academy of Music and Dance. Come attrice e danzatrice mi ha arricchito molto e aiutato nell’ unire le due.

Quanto la sua forma di espressione artistica può aiutare le persone e in che modo?

R.: Mi sono sempre chiesta perché gli artisti vengano visti come figure di modello e a volte come idoli, io credo che l’attore è in grado di rappresentare  storie di vita umana.  

Per me l’arte guarisce l’anima, la può rallegrare come turbare, fare gioire e soffrire, inoltre regala al pubblico esperienze di vita, viaggi per l’anima e lo spirito.

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Tra le esperienze professionali più significative, quale ricorda con maggior emozione?

R.: Sicuramente il mio primo Red Carpet alla Biennale di Venezia nel 2017 dove ero stata premiata “ Giovane rivelazione” premio Kineo Diamanti al cinema Award. Quel momento è stato ancora più emozionante perché mi sono ritrovata sul carpet allo stesso momento di Susan Sarandon.

Qual è stato lincontro più importante, che Lei ricorda e perchè?  

R.: Col maestro russo Anatolij Vasiliev. Ha trasformato la mia visione del teatro,  dell’attore e dello spazio.

Attualmente su cosa sta lavorando?

R.: Attualmente sto lavorando alla scrittura del lungometraggio di “In The Gray Room”, progetto che inizialmente ho sviluppato con un cortometraggio di danza. Affronta la tematica della demenza senile. Prende spunto dalla malattia di mio padre negli ultimi sette anni.

Progetti futuri?

Sarei dovuta partire per Londra ad Aprile per un nuovo progetto ma la produzione ha rimandato a quest’estate per via della situazione attuale con il COVID-19.

Posso solo dire che spero si porterà avanti appena tutto questo sarà finito.


Abiti: Aliona Kononova

Writer
Gabriella Chiarappa


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