Rullo di tamburi, si procede verso il gran finale dell’ottantunesima edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Venerdì 6 settembre è il penultimo giorno al Lido e già si percepisce una lieve vena nostalgica, chissà cosa accadrà domani.
Tuttavia, la laguna non molla: è la volta della regista Francesca Comencini, “il tempo che ci vuole” con Fabrizio Gifuni, Romana Maggiora Vergano, è un film autobiografico, molto emotiva e sincera, focalizzato più sulla figura paterna che sul cineasta.
Tutta la storia si concentra sul duplice rapporto che ha Luigi Comencini con sè stesso: direttore artistico e l’essere padre. Questa descrizione è illustrata in una maniera molto delicata, sincera e commovente.
Uno spazio fuori dal mondo, tant’è che la pellicola riguarda sostanzialmente, sempre e solo, un padre ed una figlia. In ogni modo, è davvero molto colmo di sguardi, libri, affetto. È un vero e proprio atto d’amore verso suo padre ma anche verso il cinema.
Interessante il richiamo a Pinocchio, sempre presente nella realtà dei bambini.
Un grande elogio alla fragilità, uno spaccato personale ma non privato.
Ciò che smuove quest’ opera sembra proprio essere il valore umano della contraddizione, della caduta, del fallimento (“tentare e non fallire”), dell’emozione e tanto altro.
Sembra banale ma non lo è affatto.
Tant’è, che non bisogna mai trascurare l’immaginazione salvifica che scappa dalla vecchiaia, dalla paura e sprigiona la voglia di vivere le vere emozioni e solo dopo la sala cinematografica.
In concorso “Bing Wang” (Cina), 152 minuti per raccontare 5 anni nella vita di alcuni giovanissimi cinesi.
Le vacanze di capodanno si avvicinano e i laboratori tessili di Zhili sono quasi tutti deserti. Tutti festeggeranno nelle proprie città Natali ma cosa succederà nel mentre?
“In Cina la maggior parte dei giovani lavora duramente per mantenersi – dice Wang Bing -. Gli stipendi sono molto bassi, le giornate infinite e non c’è quasi tempo di riposare. La società cinese ha ridotto la loro vita quotidiana a lavoro. Guadagnare denaro è diventato l’unica ambizione”.
Altro rullo in concorso, “Love” di Dag Johan Haugerud che prosegue con un concetto di “revisione” di coppia, di relazioni e di amore.
È quello che il regista vuole approfondire, ossia è alla ricerca spasmodica di un punto di osservazione.
I protagonisti sono Marianne e Tor, entrambi single, che lavorano nel reparto di Urologia, infermiera e medico, di un ospedale di Oslo.
Si concentra il tutto all’interno di un trattato celebrale che parte dall’idea di un corpo come campo di battaglia e la malattia fisica, vista come un parallelismo che riguarda la crisi di coppia.
Scelta interessante ma appesantita da dialoghi troppo lunghi e senza sosta
Cerco notizie ad Ovest Nord Ovest, sono logorroica e amante dell’informazione. Mi occupo di comunicazione, Social Media e speakeraggio radiofonico, mi piacciono le parole perché ognuna di esse racchiude un significato specifico. Nella vita ho sempre cercato di fare più cose insieme per poter imparare e migliorare, ritengo che c’è sempre tempo per trovare le proprie passioni basta perseguire la propria strada!I miei hobby sono la cinematografia, la fotografia e lo sport soprattutto il nuoto e la boxe, almeno per il momento! Il mio posto preferito è sicuramente il mare dove poter fare introspezione e staccare la mente.