Certe volte il cinema non si limita a raccontare una storia. La scrive nella pelle, nella memoria collettiva, la trasforma in leggenda.
Era il 20 giugno 1975 quando un giovane regista dal talento inquieto, Steven Spielberg, portò nelle sale americane Lo Squalo.
Cinquant’anni dopo, quel film non è invecchiato: è diventato mito.
Quando la paura arriva dal profondo
All’inizio doveva essere solo un film su uno squalo.
Ma quello che Spielberg fece fu qualcosa di più: prese una paura primitiva, quella di essere predati, e la portò sul grande schermo come nessuno aveva mai fatto.
Lo fece senza far vedere quasi nulla. E fu proprio questo a cambiare tutto.
Lo squalo meccanico, soprannominato “Bruce”, non funzionava. Si bloccava, affondava, si rompeva.
Così Spielberg si affidò all’immaginazione. L’orrore non era più ciò che si vedeva, ma ciò che si sentiva arrivare, come l’inquietante colonna sonora di John Williams: due sole note, ma bastavano a farci saltare sulla poltrona.
Un set impazzito… e un capolavoro nato dal caos
Le riprese furono disastrose.
Girati nell’oceano aperto (contro ogni consiglio), i giorni di lavorazione raddoppiarono, il budget andò fuori controllo, e gli attori – tra cui un instabile Robert Shaw – misero a dura prova la pazienza della troupe.
Eppure, proprio quel caos contribuì a dare al film un senso di urgenza reale, vissuta, fisica. Si respira ancora oggi in ogni scena.
Il primo “blockbuster” della storia
Spielberg inventò, senza volerlo, il concetto moderno di successo estivo al cinema.
Lo Squalo fu il primo film distribuito contemporaneamente in centinaia di sale, supportato da una campagna pubblicitaria televisiva martellante.
Il risultato? Una marea umana ai botteghini e un incasso che superò i 470 milioni di dollari.
Il pubblico usciva dalle sale con una nuova paura: fare il bagno in mare.
I segreti che pochi conoscono
- La scena con la gabbia subacquea fu girata in Australia con uno squalo vero e una controfigura nana per far sembrare il predatore ancora più enorme.
- Il monologo del Capitano Quint sull’affondamento della USS Indianapolis fu in gran parte scritto dallo stesso Robert Shaw, tra un bicchiere e l’altro.
- Il finale originale prevedeva la morte dello squalo trafitto. Ma Spielberg voleva qualcosa di esplosivo. E, contro ogni consiglio, fece saltare in aria il mostro.
- L’autore del romanzo, Peter Benchley, detestava il finale. Disse che era troppo hollywoodiano. Spielberg rispose con una frase storica:
“La realtà è noiosa. Il cinema no.”
Perché ci ha segnato così tanto?
Perché non era solo un film su un mostro.
Era un film sull’invisibile, sull’ansia che si insinua sotto la superficie, sul terrore che può emergere in ogni estate apparentemente serena.
Spielberg, con uno squalo rotto e un’intuizione geniale, ci ha ricordato che il vero orrore non ha bisogno di effetti speciali. Basta l’attesa.
Oggi, mezzo secolo dopo…
Cinquant’anni dopo, Lo Squalo resta intatto.
Non solo come opera d’arte, ma come lezione di cinema, di tensione, di magia narrativa.
Un film girato tra urla, onde e guasti, che ci ha insegnato che a volte l’imprevisto è il più grande alleato della creatività.
E ogni volta che sentiamo quelle due note…
…ricordiamo che, anche se non si vede, la paura può sempre tornare a galla.

Salve sono una manager esperta in comunicazione, che punta sull’innovazione e la ricerca, il mio settore è legato alla sfera moda anche se la mia cultura e il mio spirito di osservazione mi portano ad avere sfaccettature che sinergicamente si avvicinano all’arte, alla musica e a tutto ciò che svela la nuova tendenza. Adoro il mondo del Fashion che coltiva la cultura e le tradizioni: incantata dalla genialità di un Alexander McQueen e dall’eleganza innovativa di un Jean Paul Gaultier. Sono una sognatrice autentica che crede che le passioni sono l’alimento per concretizzare i sogni, amo viaggiare,visitare musei, conoscere e documentarmi sempre….