L’elisir creato da Gaspare Campari racchiude una storia italiana di arte e design.
Forse non piace a tutti, ma tutti dovrebbero almeno una volta provare la bevanda rubina inventata a Novara nel 1860 da Gaspare Campari e portata avanti da suo figlio Davide.
Un’istituzione che si protrae da almeno quattro generazioni e che non passa mai di moda. Grazie al genio delle sue campagne pubblicitarie, Campari è sempre stata un passo avanti a tutte le altre bevande, merito di un legame profondo con l’arte.

Gaspare scelse l’epicentro del suo business a Milano, nella nuova Galleria Vittorio Emanuele affacciata su Piazza Duomo, aprendo il suo primo bar: il Caffè Campari. Quell’amaro di temperamento, misto alla dolcezza di un nettare leggermente alcolico, delizia i palati di tutti: borghesi, aristocratici, pensionati, artisti e giovani rampanti, diventando parte integrante della cultura milanese.

La fama di questo prodigioso drink col tempo va oltre la collocazione del suo bar, diventando sempre più internazionale. Nel 1904, Davide, succeduto al padre nella guida dell’azienda, aprì un vero e proprio stabilimento a Sesto San Giovanni, oggi sede storica del gruppo. In memoria di suo padre, Davide inaugurò un altro storico locale nella Galleria: il Camparino, facendo conoscere la squisita bibita in un contesto di convivialità.
Questa fu la svolta. Venne inventato l’Americano e il Negroni, che entrarono nella lista dell’IBA nella categoria “The Unforgettable”. Molti grandi artisti iniziarono a collaborare con il brand: Leonetto Cappiello disegnò l’iconico spiritello avvolto in una buccia d’arancia. Negli anni quaranta, Depero propose il marchio con forme organiche di design meccanico facendolo letteralmente svettare.


Poi vi furono le guerre, che azzerarono tutto come sempre accade. Ma ci pensò l’artista Carlo Fisanotti con la sua arte d’avanguardia a rilanciare la campagna pubblicitaria dopo anni di sonno forzato.
Fu un vero e proprio uroboro artistico quello che legò Campari all’arte. Tutti i creativi facevano a gara per rinnovare la comunicazione, decennio dopo decennio, era dopo era, fino ai giorni nostri.

Non mancarono celebri registi e svariate star a portare avanti questo pezzo di storia italiana. Federico Fellini firmò il primo spot nel 1984 chiamato “Una favola moderna”.
Campari, in un modo o nell’altro, ha creato un état d’esprit, e le masse, seguendo l’influenza di questi arconti al suo interno, si sono lasciate trascinare, alimentando all’inverosimile il rito dell’aperitivo come status di benessere e cercando di essere notati ossessivamente nei momenti in società.

Nel 2010 è stata inaugurata la Galleria Campari, un luogo dove l’alchimia tra Campari e arte permette anche ai profani di toccare con mano la vera red passion, il leitmotiv della Famiglia.
Una favola dettata da una sana passione perpetrata di padre in figlio, e che sotto l’epidermide della storia della comunicazione, dell’arte, del cinema e della fotografia, non ha mai smesso di pulsare. Moltissimi sono stati gli eventi a tema, le mostre e i personaggi che hanno contribuito a rendere grande questa piccola impresa nostrana.

Costantemente e instancabilmente, rinnovando nuove idee e nuove forme adattandole in una celestiale inerzia al cambio dei tempi; e noi, coloro che beviamo, forse siamo gli artisti principali nel portare avanti la tradizione.
Altro non ci rimane da fare che …tirare a Campari.

Nato a Milano il 9 Agosto 1974, ha conseguito studi ed esperienze lavorative di progettazione meccanica. Agli inizi del 2000 quasi per gioco coltiva l’hobby della scrittura, divenendo inaspettatamente giornalista pubblicista. Ha collaborato con svariati quotidiani scrivendo di cronaca e inchiesta, nonché con magazines mensili dedicati alle auto storiche per via della sua passione per il collezionismo automobilistico di nicchia. Oggi lavora in una fondazione nel centro di Milano, ma non appena il tempo glielo consente, ne approfitta per condividere notizie ed opinioni. La sua citazione preferita, come un mantra, la ruba al celebre film “Scent of woman,” in cui Al Pacino, nei panni di un colonnello non vedente dell’esercito, risponde alla domanda del suo giovane badante sull’ammirazione che ha delle donne: “Le donne le amo sopra ogni cosa. Al secondo posto, ma con lunga distanza… c’è la Ferrari.” Carpe Diem.