Anna Wintour lascia Vogue America. Così finisce un’era, ma non il suo potere New

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Dopo 37 anni alla direzione dell’edizione statunitense, la regina della moda editoriale si fa da parte. Ma resta al centro delle strategie globali di Condé Nast

Dopo trentasette anni al vertice di Vogue US, Anna Wintour ha deciso di lasciare la direzione dell’edizione americana della rivista. L’annuncio, arrivato in forma riservata durante una riunione con il suo team, segna una svolta nella storia recente del giornalismo di moda. Ma la sua figura resta tutt’altro che defilata. Wintour manterrà infatti i ruoli di Global Chief Content Officer di Condé Nast e direttore editoriale globale di Vogue. Non un addio, dunque, ma una redistribuzione del potere. Più ombra, meno esposizione. Più strategia, meno copertine.

 

Anna Wintour

 

Il gesto, come spesso accade con i grandi nomi, apre più domande di quante ne chiuda. Perché proprio ora? Chi prenderà il suo posto? Vogue potrà davvero cambiare volto senza cambiare anima?
La risposta sta forse nel profilo unico di Anna Wintour, capace negli anni di costruire attorno a sé non solo una leadership, ma una vera e propria identità editoriale. Dal 1988, anno del suo esordio come direttrice, ha trasformato Vogue in un punto di riferimento trasversale, dove la moda ha dialogato con la cultura, la società, la politica. Ha guidato la transizione del gruppo Condé Nast in epoca digitale, ha ridisegnato i confini del fashion system, ha impresso nella storia editoriali, copertine e numeri simbolici come il September Issue, diventato un evento globale.

 

Anna Wintour

 

Il suo stile è stato sempre inconfondibile, sia nella forma (quel caschetto severo, gli immancabili occhiali scuri) che nel metodo: controllo assoluto, lungimiranza, capacità di decidere prima degli altri ciò che avrebbe avuto rilevanza domani. Ha fatto della distanza un linguaggio e dell’autorevolezza una firma. Ma ha anche saputo cogliere le svolte epocali: ha aperto le porte a designer emergenti, ha promosso la diversity ben prima che diventasse una parola chiave obbligata, ha sostenuto l’ibridazione tra moda e impegno sociale con una coerenza rara.

Dietro la figura pubblica, il potere privato. Molto più di una direttrice, Anna Wintour è stata un punto fermo in un settore instabile per definizione. Mentre molte redazioni perdevano peso, lei ha consolidato la sua posizione. Mentre i media cercavano linguaggi nuovi, lei ha imposto il suo. Lo ha fatto con lo stile glaciale e intransigente che l’ha resa protagonista anche fuori dalla carta stampata, ispirando libri e film – su tutti Il diavolo veste Prada, che l’ha resa un’icona anche tra chi non legge Vogue.

Oggi, a 75 anni, lascia un posto che ha incarnato come nessun altro. Non con nostalgia, ma con l’eleganza di chi sa leggere il tempo. Una leggenda può davvero andare in pensione? Oppure si limita a cambiare posizione per restare, ancora una volta, un passo avanti?

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Anna Wintour

 

L’editoria di moda, intanto, osserva e riflette. Perché una cosa è certa: quando Anna Wintour si muove, non è solo Vogue a cambiare. Cambia l’ecosistema stesso del racconto visivo.
Il suo potere non è mai stato quello di apparire. Ma di orientare. Senza cedere alla velocità dei trend, ha costruito una carriera sulla coerenza, sull’intuizione, sul rigore.

In un sistema spesso abituato a bruciare figure e formule con la stessa velocità con cui le crea, la sua longevità rappresenta qualcosa di raro, di prezioso, di irripetibile.
E forse la vera eredità di Anna Wintour non è un nome da sostituire sulla testata.
Ma una domanda che resta sospesa nella redazione globale della moda: dopo di lei, chi sarà davvero in grado di dettare le regole?


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