Prince: l’eco viola che non smette di suonare New

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Ieri, 7 giugno, Prince avrebbe compiuto 61 anni. E invece siamo qui, ancora una volta, a fare i conti con la sua assenza, che però non fa silenzio. Se c’è una cosa che Prince ci ha insegnato, è che l’assenza può essere piena. Piena di suono, memoria, stile, eccesso. Il suo compleanno è diventato un rito, una ricorrenza che sa di malinconia ma anche di celebrazione, perché Prince non è stato solo un musicista: è stato un universo a parte, una visione che continua a pulsare anche adesso che lui non c’è più.

Dopo la sua morte, nel 2016, è stata aperta la leggendaria cassaforte di Paisley Park. Dentro, oltre duecento brani inediti, ore di musica mai ascoltata, idee in forma grezza o perfezionate. Un’eredità monumentale che continua a ispirare e sfidare la musica contemporanea. Attorno a lui, un esercito di musicisti straordinari. I Revolution, certo, ma anche gli ingegneri del suono, i collaboratori, le muse. Era un creatore di comunità, prima ancora che di dischi.

 

 

Prince
Photo by Peter Still/Redferns

 

Bobby Z, storico batterista, lo dice senza giri di parole: “Ci prese dalla strada e ci diede un’identità, un progetto, una possibilità. Le sessioni potevano durare anche 36 ore, e da lì nacquero capolavori come Little Red Corvette, When Doves Cry, Let’s Go Crazy, I Would Die 4 U”. Era energia pura, vulcanica, implacabile.

Tra le presenze più luminose ci sono Wendy & Lisa, musiciste e compagne, che segnarono una rivoluzione silenziosa. Wendy racconta di una sera in un club, un’improvvisazione su Gershwin. Dal pubblico sale Prince. Il giorno dopo le vuole in studio. Di lì a poco, su una melodia nata per caso, in dieci minuti nasce Purple Rain. Con lui tutto sembrava facile. Dannatamente facile.

Dopo i Revolution arrivano i New Power Generation, e con loro una nuova mutazione del suono. Prince non si è mai ripetuto: ogni album un esperimento, ogni disco un salto nel vuoto. Su Rave Un2 the Joy Fantastic, Chuck D racconta di essere stato travolto da un arsenale di strumenti alieni, prototipi, suoni mai sentiti prima. Paisley Park era un laboratorio di fantascienza musicale.

 

Prince

 

E poi le donne, così tante, ma soprattutto così decisive. Sheila E, per esempio: “Se fosse stato per lui, i miei assoli alle congas sarebbero durati un’ora. E io avrei continuato, anche con le mani sanguinanti. Prince ci portava oltre”. O Susanna Hoffs: su un volo, gli chiede un autografo e una canzone. All’atterraggio, lui le consegna uno spartito: diventerà Manic Monday.

Anche Sinead O’Connor, con il successo di Nothing Compares 2 U (scritta da Prince), manda un messaggio in video per celebrare il genio malinconico che le cambiò la carriera. E quel brano, spesso erroneamente attribuito a Kim Basinger, era invece una dedica struggente alla madre di Prince, in un momento di profonda depressione.

Ieri, Paisley Park si è riempito di musica e memoria. Jam session, musicisti arrivati da tutto il mondo per il Purple Reign Event, un concerto libero, senza scaletta, senza limiti, solo Prince. Wendy & Lisa chiedono di suonare Gold, brano che non avevano mai toccato. Bobby Z porta due batterie: una acustica, una elettronica, per risentire quel battito metallico dei primi anni ’80.

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Si parla di musical, di tour, di un possibile ritorno con Revolution e New Power Generation insieme. Ma chi avrà il coraggio di cantare Prince? Chi può incarnare quella voce, quella presenza, quel mistero?

Perché Prince non si rimpiazza. Si lascia accadere. Si ascolta. E soprattutto, non si dimentica.

Oggi non ci sono candeline. Ma c’è luce viola, intensa e immortale.
Buon compleanno, Principe eterno.

G. M.


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