Sotto i riflettori internazionali, la moda italiana continua a brillare. Ma nei laboratori dove si costruisce quella bellezza – a mano, con ago, fatica e precisione – qualcosa si è incrinato. Alla Manifattura San Maurizio, una delle realtà produttive del gruppo Max Mara, le lavoratrici hanno detto basta. Basta al silenzio, basta alla pressione, basta all’umiliazione. Hanno scioperato. Per rispetto. Per dignità. Per essere viste non solo come braccia che cuciono, ma come persone.
La denuncia arriva dalla Filctem Cgil di Reggio Emilia, che racconta un contesto di lavoro segnato da “rigidità organizzativa, usura fisica, pressioni individuali, mancato riconoscimento economico e dei passaggi di livello, e una totale indisponibilità dell’azienda al confronto sindacale.”
Ma sono le parole delle lavoratrici, raccolte da Il Fatto Quotidiano, a restituire pienamente la gravità e la disumanità della situazione:
“Ci hanno chiamate mucche da mungere. Ci hanno detto che siamo grasse, obese, e ci hanno suggerito esercizi da fare a casa per dimagrire. Ci pagano praticamente a cottimo, controllano quante volte andiamo in bagno. Ma siamo donne, abbiamo il ciclo. È disumano.”
Una testimonianza cruda, che non può lasciare indifferenti. Perché oltre l’immagine patinata della moda, esiste un mondo di corpi femminili sotto pressione, umiliati, controllati.
Erica Morelli, segretaria generale della Filctem, non usa mezzi termini:
“Siamo fermi agli anni ’80. L’azienda ha alzato un muro, impedendo qualsiasi dialogo. Questo sciopero è un segnale: non c’è futuro senza rispetto per chi lavora.”
La vicenda di Max Mara si inserisce in un contesto più ampio e preoccupante. L’industria del lusso – che rappresenta il 5% del PIL italiano – spesso si sostiene su modelli di produzione che spremono i lavoratori e moltiplicano i profitti. Le inchieste giornalistiche, come quella di Report, hanno svelato una filiera distorta: borse vendute a 2.000 euro prodotte con manodopera sottopagata, anche a 2 euro l’ora, in laboratori-dormitorio.

Il valore reale di produzione di un capo o di un accessorio è spesso irrisorio rispetto al prezzo finale. Eppure, basterebbe aumentare di pochi euro il compenso per garantire condizioni dignitose a chi lavora.
La domanda allora è inevitabile: può il lusso continuare a prosperare su un sistema che umilia, mortifica, consuma le persone? Può un marchio essere considerato “eccellenza italiana” se il prezzo del suo successo è la sofferenza delle sue maestranze?
Le lavoratrici Max Mara hanno rotto il silenzio. E con il loro sciopero, chiedono che si apra una stagione nuova: di ascolto, di riconoscimento, di umanità.
Perché la vera eleganza non è solo nei tessuti. È nel modo in cui si tratta chi li crea.
C.R.